Ritratto di signora

La sala d'attesa di un reparto d'ospedale è una sorta di limbo, dove il tempo scorre rallentato,
dove tu non sei più tu,
ma un numero nelle mani di quella persona in camice azzurro che segui speranzosa con lo sguardo, mentre cammina, sempre uguale, su è giù per il corridoio, oltre la porta.
La sala d'attesa è un luogo di silenzi e di sussurri,
di sguardi che distolgono lo sguardo,
di pensieri che vorresti avere la capacità di non pensare,
un chip emozionale che ti piacerebbe poter disattivare.
La sala d'attesa è per gente di passaggio che attende, appunto, un verdetto.
Siamo tutti diversi e tutti uguali su quelle sedie, che, più passano i minuti, le ore, più diventano scomode.
Prima in tanti, poi via, via sempre meno,
Mi porto un libro, affinchè sia il mio compagno in sala d'attesa.
E' il mio tentativo di evasione, anche se i pensieri sono sempre lì, a quel numero impresso su un bigliettino di carta,
vanno di pari passo con le righe lette,
le pagine girate,
i capitoli conclusi.
Persa in una bolla, che è al tempo stesso protezione e svago,
non mi accorgo di quel che accade.
Lascio che sia il libro a prendermi per mano,
la trama a farmi sua per un po'.
Poi un foglio piegato si posa sulle pagine
e un sussurro galleggia nell'aria:
"Grazie per avermi tenuto compagnia".


La sagoma di un signore anziano, distinto,
il guizzo di un sorriso intravisto
e io resto lì a fissare l'immagine di me stessa su quel foglio,
mumblizzando sul fatto che al mondo esistono ancora istanti di grazia e gentilezza
e a come la poesia di un gesto semplice riesca a far brillare in un attimo
anche il grigiore opaco di quella sala d'attesa ormai vuota.

Buona giornata...

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